Smart working, home working, remote working, agile working… proviamo a fare un po’ di chiarezza
Durante l’emergenza che stiamo vivendo, sin dai primi annunci sui vari giornali, c’è stato un fiorire e rifiorire di terminologie “vecchie” e probabilmente un po’ dimenticate per varie ragioni che non staremo qui a commentare. Una di queste è sicuramente Smart Working e grazie a una piccola analisi effettuata attraverso Google Trends ne abbiamo conferma. Si tratta, per chi non lo conoscesse, di uno strumento gratuito, basato sul motore di ricerca Google, che permette di analizzare la frequenza di ricerca di una determinata parola o frase, confrontabili anche con altre.
Abbiamo inserito come parametri dell’analisi:
- Italia
- Ultimi 5 anni
- Tutte le categorie
- Ricerca Google
Come potete osservare, dalla linea del tempo, solo nell’ultimo periodo l’interesse sull’argomento è letteralmente “esploso”. Dal nostro punto di vista è un vero peccato, perché probabilmente è stato un tema “trascurato”, soprattutto a livello di ricerca di informazioni e approfondimenti, a scapito di tutti i possibili interessati.
Approfondimento “Interesse nel tempo”. I numeri rappresentano l’interesse di ricerca rispetto al punto più alto del grafico in relazione alla regione e al periodo indicati. Il valore 100 indica la maggiore frequenza di ricerca del termine, 50 indica la metà delle ricerche. Un punteggio pari a 0, invece, indica che non sono stati rilevati dati sufficienti per il termine. (Fonte Google)
A livello regionale, le prime cinque Regioni dove la ricerca ha registrato il maggiore numero di ricerche durante il periodo di tempo indicato sono in ordine: Lombardia, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Lazio. Dai colori è chiaro che, a prescindere da queste cinque, è stato un tema ricercato in tutte le parti d’Italia.
Approfondimento “Interesse per regione”. Scopri in quale località il tuo termine ha registrato il maggiore numero di ricerche durante il periodo di tempo specificato. I valori sono calcolati su una scala da 0 a 100, dove 100 indica la località con la maggiore frequenza di ricerca in proporzione al totale delle ricerche in tale località e il valore 50 indica una località con la metà delle ricerche. Il valore 0, invece, indica una località per cui non sono stati rilevati dati sufficienti.
Nota: un valore più elevato indica una percentuale più elevata rispetto alle query totali, non un conteggio assoluto più elevato. Pertanto, un paese di piccole dimensioni in cui la query “banane” rappresenta l’80% del totale avrà un punteggio due volte superiore a quello di un paese di grandi dimensioni in cui la query “banane” rappresenta solo il 40% del totale. (Fonte Google)
Le misure di distanziamento sociale, fondamentali per prevenire l’espansione dei contagi causati da COVID-19, hanno dato una fortissima spinta alla diffusione del lavoro “da remoto”. Da questo emerge un grande lato positivo: se ne sta “parlando” maggiormente! Purtroppo, non basta parlarne, perché è altrettanto chiaro ed evidente quanta confusione aleggia in tantissime discussioni considerando il cambiamento a cui sono sottoposte la maggior parte delle organizzazioni. Alcuni esempi dell’attenzione necessaria: revisione dei protocolli di sicurezza, formazione del personale dipendente, revisione dei flussi e dei processi interni ed esterni (dove presenti), verifica delle reti e dei sistemi pubblici, aziendali o personali.
Ma questo Smart Working, lavoro da casa, lavoro agile, … non sono sempre la stessa cosa? Per dare un nostro piccolo contributo, abbiamo deciso di pubblicare questo articolo in cui cercheremo di chiarire le varie tipologie di lavoro più Smart, così da avere una guida utile a portata di clic. La sostanza generale è più o meno la stessa, ma ci sono comunque delle differenze (anche importanti).
Telelavoro
Telelavoro è la parola che genera, nella maggior parte dei casi, molta confusione. Citiamo la definizione dal vocabolario Treccani: Lavoro effettuato a distanza grazie all’utilizzo di sistemi telematici di comunicazione; in particolare, lavoro a domicilio realizzabile mediante il collegamento a una rete di comunicazioni che consente il trasferimento immediato dei dati (per es., da un impiegato alla sede della direzione centrale).
A primo impatto sembra un approccio molto vicino a un altro termine in particolare, per via di diversi punti di contatto, ma ha anche notevoli differenze. Per Telelavoro si intende un lavoro svolto a distanza rispetto alla sede centrale. Immaginate che la sua diffusione risale agli anni 70 con l’arrivo della terza rivoluzione industriale in cui si svilupparono le tecnologie informatiche.
I cosiddetti “tele workers” lavorano per lo più da casa o in un luogo specifico decentrato. In questo caso il lavoratore viene messo nelle condizioni di usufruire di una postazione fissa che, ovviamente, si trova in un luogo diverso da quello aziendale. In questa forma è possibile cogliere una maggiore rigidità non solo dal punto di vista dello spazio, ma anche di quello temporale: nel caso del telelavoro gli orari sono stabiliti e, normalmente, sono molti vicini a quelli fissati per il personale che svolge i medesimi incarichi all’interno dell’organizzazione.
Oggi, l’istituto del Telelavoro – ufficialmente mai abrogato – dovrebbe essere superato dallo Smart Working (detto anche erroneamente Lavoro agile o Agile Working), ma va precisato che non è una sua evoluzione.
Smart Working (o Remote Working?)
Eccolo qui, il termine più diffuso e sicuramente più al passo con i tempi: Smart Working. Su esso c’è da fare un po’ di chiarezza, grazie al contributo della linguista Licia Corbolante, esperta di terminologia, perché in effetti non è proprio corretto usare l’anglicismo a cui siamo purtroppo “abituati”:
Smart working è un’espressione ricorrente nelle notizie sulle misure per contrastare la diffusione della COVID-19. È usata genericamente per identificare l’opzione di lavorare da casa ricorrendo a strumenti informatici.
Si tratta però di uno pseudoanglicismo perché in inglese questa modalità di lavoro non si chiama smart working bensì working from home, da cui l’acronimo WFH, oppure remote working o anche telecommuting, come si può verificare nelle cronache dei media britannici e americani di questi giorni.
In inglese smart working ha un altro significato: indica una modalità di lavoro flessibile con processi migliorati e ricorso a tecnologie e strumenti che rendono il lavoro più funzionale perché agiscono in modo “intelligente” (Smart).
Aziende, politica e media italiani usano impropriamente l’anglicismo smart working come sinonimo di quello che la legislazione italiana identifica come lavoro agile.
Probabilmente il termine più corretto da utilizzare è Remote Working ed esso, principalmente, rappresenta un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di una qualsiasi organizzazione, privata e/o pubblica. Già da questo semplice concetto è evidente che per iniziare a parlarne diventa necessario ripensare/rivedere l’intera organizzazione.
In questo approccio ci sono, ad esempio, alcuni punti necessari: uguale trattamento economico e obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con relativa copertura INAIL. Ma veniamo ora all’aspetto più importante, il quale segna una netta differenza con il modello “passato”: viene meno l’obbligo di una postazione di lavoro fissa in cui lavorare. Moltissimi lavoratori, soprattutto in questo periodo, svolgono la loro prestazione lavorativa nella propria abitazione e, in casi di necessità, anche in una sede distaccata dell’organizzazione, ma potrebbe andar bene anche un bar, un ristorante, una panchina all’interno di un parco o qualunque luogo in cui si possa portare un computer e/o uno smartphone, e ci sia una connessione, Wi-Fi o mobile (tramite funzione tethering). Qui citiamo un ulteriore approccio, molto comune al giorno d’oggi: BYOD (Bring Your Own Device); ovvero la possibilità, offerta da parte dell’organizzazione ai propri dipendenti e/o collaboratori, di utilizzare i dispositivi personali. Passiamo ora al punto determinante per un cosiddetto “remote worker“: l’orario di lavoro non è più definito (se non entro i soli limiti di durata massima giornaliera e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva).
Questo tipo di modalità di lavoro richiede ampia fiducia e flessibilità reciproca tra organizzazione e dipendente/collaboratore.
La normativa italiana sul Lavoro agile (dove troviamo conferma che lavoro agile non corrisponde al concetto inglese di Smart Working) rientra nella Legge n.81 del 22 maggio 2017, entrata poi in vigore il 14 giugno dello stesso anno, intitolata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato“. Essa mira a tutelare coloro che desiderano “rovesciare” il concetto tradizionale di ufficio, e lavorare in qualsiasi luogo sia disponibile una connessione a Internet. Molti di voi si staranno facendo tante domande, arrivati a questo punto dell’articolo, ma purtroppo su queste non riusciamo a rispondervi noi.
Riassumendo, l’idea alla base è che, nel contesto economico in cui ci troviamo, parole come luogo e orario di lavoro sono ormai superate in quanto ciò che realmente conta sono i risultati, gli obiettivi raggiunti, a prescindere da luogo e tempo necessario. La persona viene, quindi, responsabilizzata nello svolgere il proprio lavoro in modo “innovativo”.
Smart Working (original)
Lo Smart Working “originale” aggiunge alla flessibilità di orario e luogo, entrambi presenti nel Remote Working, anche una migliore efficienza garantita da processi ottimizzati, più autonomia e maggiore collaborazione. Inoltre, acquisiscono notevole importanza tutte le tecnologie e tutti gli strumenti (ad esempio, connettività, software per la produttività personale, dispositivi mobili, conferenze online…) con l’obiettivo di lavorare in modo “intelligente” (questa è la parola Smart) e, quindi, rendere più funzionale il lavoro stesso.
Per conoscenza, lo Smart Working non va confuso con l’espressione “work smarter“, presente spesso nel gergo aziendale e associata alla frase “we must do more with less“.
Agile Working
Non vogliamo spaventarvi, ma il concetto di Agile Working (che non prende l’idea di Lavoro agile nella traduzione letterale italiana) viene molto spesso accostato al termine Smart Working. L’Agile Working, invece, è una diretta evoluzione di quest’ultimo, con cui condivide diversi aspetti.
Esso nasce in un ambito a noi molto caro: l’IT (Information Technology). Attenzione però, non facciamoci ingannare, perché l’Agile Working non si focalizza solo su tecnologie e processi. L’obiettivo principale di questo approccio è quello di ricercare la combinazione migliore di fattori utili nel portare a termine un’attività specifica, ad esempio, con tempi più rapidi, percorsi d’esecuzione più corretti e autonomia progettuale concreta, per tutte le parti coinvolte. Questo avviene quando il team può “agilmente” occuparsi della realizzazione di un prodotto e/o servizio inserendo al proprio interno delle competenze e dei ruoli aggiuntivi, abbattendo la tradizionale divisione gerarchica tipica di una qualsiasi organizzazione.
Comprensibilmente, anche questa modalità di lavoro si basa sul ruolo fondamentale della fiducia tra i membri del team e sulla diversità delle competenze come valore aggiunto per il raggiungimento degli obiettivi. Che ruolo gioca allora l’utilizzo della tecnologia? Per lo Smart Working, ad esempio, essa è utile come strumento per facilitare le comunicazioni a distanza, mentre nell’Agile Working si sostituisce anche alle comunicazioni scritte e burocratiche. Quest’ultima considerazione ci aiuta ad avere un quadro abbastanza chiaro, perché con questo tipo di modalità di lavoro è ancora più necessaria una revisione dell’organizzazione, con l’obiettivo di creare veri e propri gruppi multidisciplinari. Venendo meno le “classiche” strutture gerarchiche, questi gruppi ottengono la possibilità di portare avanti un progetto e valutarne lo stato di avanzamento, con relativi margini di miglioramento.
L’Agile Working, concludendo, è molto vicino al concetto di flessibilità di orario e luogo di lavoro, ma la vera differenza la fa il lavoro di squadra e il modo in cui questo viene organizzato all’interno della singola realtà.
Epilogo
All’inizio avete fatto vedere un grafico da Google Trends sul termine Smart Working. In base a quanto appreso, le terminologie sono tante, quindi è probabile che i picchi dipendano da questa confusione sui termini.
Potrebbe essere una riflessione interessante, ma vi consigliamo di dare un’occhiata al grafico dell’interesse nel tempo per il Remote Working confrontandolo con gli altri.
Articoli di approfondimento e Fonti
Questo lavoro è sicuramente perfettibile e non ce l’avremmo fatta a realizzarlo senza una serie di contributi. Noi ci abbiamo provato e speriamo di avervi “schiarito” un po’ le idee.
Vi lasciamo una serie di link utili per approfondire ulteriormente, in modo che la discussione e gli interrogativi ci facciano crescere per accogliere questa opportunità.
- De Masi: «Smart working: ci voleva il Coronavirus per imparare la lezione»
- Servono entrambi, ma c’è differenza tra telelavoro e “smart working”
- Smart Working e Agile Working, differenze e somiglianze
- Il futuro non aspettò. Riflessioni sullo smart working
- Legge sullo smart working: tutti i segreti
- Lavorare da casa non è smart working!